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Il Comic Sans è uno dei font più bistrattati. Ecco come si spiegano le percezioni dei caratteri tipografici
È uno dei designer più di successo del globo, eppure deve essere dura la vita per Vincent Connare. Quasi sicuramente state usando o avete usato una delle sue creazioni. Quasi sicuramente l’avete anche odiata. È infatti l’inventore del font (a essere pedanti sarebbe il typeface: ma arrendiamoci, ormai i termini sono intercambiabili) più controverso del globo, il Comic Sans.
Che il design di un carattere tipografico cambi completamente la nostra percezione di un testo non è certo una novità. In un certo senso il font è la voce di un testo scritto. Ma cosa c’è dietro alle nostre preferenze per un font o un altro? Perché il logo di Star Wars in Comic Sans è talmente fuori posto da farci immediatamente sorridere? Perché già 170 anni fa erano così importanti da essere brevettati?
Robert Bringhurst in The Elements of Typographic Style ha detto: “Nel momento in cui un testo e un carattere sono stati scelti, allora due flussi di coscienza, due ritmi, due insiemi di abitudini o, se vogliamo, due personalità si intersecano”. La ricerca ha trovato ripetutamente che persone diverse tendono a concordare sistematicamente su quale stile di font sia più adatto per un testo. In generale associamo una gamma molto ampia di tratti di personalità ai font, sui quali tendiamo a concordare. Un font come l’Impact è consistentemente percepito come “rigido”, “mascolino”, “maleducato”, mentre uno come il Times New Roman è “maturo”, “formale”. Il Comic Sans non è solo “casual” e “giovanile”, ma anche “passivo”. A sua volta, il font altera la nostra percezione di chi scrive: la scelta di un font incongruo per un curriculum o un sito web influenza negativamente la nostra immagine dell’autore. E questa percezione avviene a livello profondo, inconscio: in un test di riconoscimento rapido del testo, rispondiamo in modo più veloce e sicuro davanti a combinazioni parole/font concordi (la parola “pesante” in un font anch’esso, pesante) rispetto a combinazioni discordi (la parola pesante in un font corsivo e leggero).
Può un font cambiare la nostra percezione di un testo? Sì, sia pure con dei limiti: un font sbagliato non rende un testo triste divertente, o viceversa. Ma un pezzo di satira per esempio diventa più divertente e ficcante se stampato in un font serif come il Times New Roman piuttosto che in Arial. Un font può addirittura cambiare la nostra percezione politica: un testo scritto in un carattere meno leggibile ci costringe a sforzarsi di più e a riflettere di più sul testo, e questo a sua volta ci fa giudicare più obiettivamente quello che leggiamo. Del resto, le preferenze per i font sono state in passato addirittura terreno di scontro ideologico.
Ne deriva che l’effetto di un font è importantissimo nel branding, e per un buon motivo. È stato dimostrato infatti che tra due prodotti identici, quello con un font più appropriato viene preferito nel 75% dei casi, indipendentemente dal nome della marca.
Ma qual è la radice profonda della personalità di un font? Esistono delle associazioni innate? È forse possibile trovarne la radice in quello che viene chiamato effetto bouba/kiki, dal nome di un curioso esperimento. Se disegnate due forme astratte, una tondeggiante e morbida, e un’altra aguzza e spigolosa, e chiedete quale delle due parole “bouba” e “kiki” associare, quasi tutti associano “bouba” alla forma morbida, e “kiki” a quella aguzza (Sarà un caso, ma notare anche la forma delle lettere che compongono le due parole: nell’esperimento comunque si chiede a voce). Non importa quale sia la lingua del parlante, e anche i bambini molto piccoli fanno la stessa associazione. Esiste quindi una correlazione profonda, innata, tra suoni e forme astratte: non sorprende che ve ne sia una anche tra concetti e forme. È interessante notare come questo legame si perda nell’autismo: i bambini autistici associano infatti le due parole quasi casualmente.
E il povero Comic Sans? Alla fine ha un posto anche lui. I bambini lo preferiscono per leggere online (sorprendentemente, amano quasi allo stesso modo l’Arial, purchè i caratteri siano grandi). Soprattutto è più facile da leggere per chi soffre di dislessia, anche se stanno inventando font appositi per i dislessici. È possibile quindi che il Comic Sans sia così fastidiosamente comune perché, oltre ad avere caratteristiche psicologiche rassicuranti, è anche immediatamente leggibile per tutti, a dispetto dell’estetica. Gli scienziati più blasonati sembrano avere un debole per questo font:è stato notoriamente usato per annunciare la scoperta del bosone di Higgs, e il fisico Serge Haroche lo ha inserito nella sua Nobel Lecture. La prossima volta che qualcuno vi critica per aver usato un font poco professionale, fatelo pure notare.
FONTE: http://goo.gl/y3vNyO (wired.it)
Tags: comic sans, graphic design, tipografia, typeface
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